L’intelligenza Artificiale è capace di scrivere delle storie, quindi di inventare? Sa indicarti esattamente cosa funziona e cosa no in un racconto? In poche parole, editor e scrittori devono preoccuparsi del fatto che presto verranno sostituiti dalle macchine? Be’, la risposta è sì, se intendiamo la scrittura come un algoritmo, un insieme di regole e schemi da seguire per “impartire informazioni sotto forma di parole” ho letto in un articolo su The Spectator. Metodi di stesura come il viaggio dell’eroe, la piramide di Freytag, il fiocco di neve, possono essere a tutti gli effetti considerati degli algoritmi e dunque riproducibili artificialmente. Ma che succede con tecniche di scrittura che infrangono le strutture preimpostate?
Un interessante esperimento è apparso su Electronic Book Review per provare a dimostrare se i modelli linguistici di grandi dimensioni siano in grado di produrre qualcosa di originale nello stile dei cut-up di Burroughs in The Third Mind.
“Sebbene i cut-up possano essere stati prodotti e siano stati prodotti in modo non tecnologico, sembrano riflettere il mondo della riproduzione meccanica e della distorsione del linguaggio, si basano su frammenti testuali non correlati, provenienti da articoli di giornale, pubblicità, volantini. Poiché un testo tagliato è per sua natura almeno in parte meccanico, la natura del taglio, tuttavia, non è casuale: è l’abilità umana a decidere quali combinazioni sono più utili”.
“Sarebbe facile programmare un computer per tagliare semplicemente i testi in pezzi casuali e rimetterli insieme. La sfida è di creare testi che si percepiscano come frammenti il cui processo di scrittura sia stato guidato da un’intelligenza (umana?)”.
L’IA può scrivere qualcosa di meglio di una debole imitazione?
Gli esperimenti meno riusciti, spiegano i ricercatori, sono stati con Sudowrite:
“Abbiamo pensato che questa intelligenza artificiale potesse essere più adatta, dato che è progettata solo per produrre testi creativi. Abbiamo scoperto che il programma è molto orientato verso la narrazione lineare, il suo compito è proprio quello di generare testi che si adattino a schemi standard di narrazione”, proprio come il viaggio dell’eroe cui si faceva riferimento in apertura e perciò “semplicemente non può incorporare l’interruzione Burroughsiana”.
In seconda battuta, i nostri si sono rivolti a ChatGPT, guidando il bot attraverso i metodi di produzione dei cut-up, fornendo esempi e tematiche da analizzare.
“Il punto finale dei nostri esperimenti non era generare pessime imitazioni dei pastiche di Burroughs; eravamo interessati a quanto lontano avremmo potuto spingere ChatGPT nella creazione dei propri cut-up. Ciò avrebbe dovuto coinvolgere tutti gli elementi del processo: selezione del materiale, tagli e modifiche. Se la macchina potesse gestire tutto questo, ci siamo chiesti, quale potrebbe essere il risultato?”.
“A differenza di ChatGPT, Burroughs è disposto a consentire che le forbici violino l’integrità delle parole nel testo di partenza e ad avere ripetizioni senza senso, a cui ChatGPT ha resistito completamente. Detto questo, abbiamo anche osservato alcune distinte restrizioni a causa dei guardrail scritti nel modello. Il chatbot ha difficoltà a gestire oscenità di qualsiasi tipo negli input e ha una forte avversione a produrre qualsiasi cosa che possa scatenare un’offesa”.
“Nel complesso, i nostri esperimenti ci hanno lasciato inequivocabilmente entusiasti per le future intersezioni tra intelligenza artificiale e scrittura sperimentale, ma hanno anche rivelato la propensione dell’IA a controllare sottilmente il discorso umano. Ci siamo costantemente sentiti spinti nel processo a essere gentili, ad avere senso, ad adattarci a una norma insipida del discorso umano”.
L’impatto causale dell’IA generativa sulla produzione di racconti
Queste osservazioni di EBR confermerebbero quelle di un recente studio apparso su Science Advances (Anil R. Doshi, Oliver P. Hauser, Generative AI enhances individual creativity but reduces the collective diversity of novel content, Sci. Adv. 10, 2024).
Lo studio si concentra in particolare sull’uso dell’IA nella produzione di narrativa breve (o micro), un tipo di scrittura diffuso nell’economia (ad esempio nelle campagne di marketing) e nella società (vedi i social media). “Mentre è stato già dimostrato che l’IA generativa aumenta la qualità e l’efficienza nella produzione di questo genere di messaggi, si sa poco del suo potenziale impatto su un aspetto umano fondamentale: la capacità di essere creativi”.
La creatività è solitamente valutata attraverso due dimensioni, spiegano i ricercatori: la novità – che valuta la misura in cui un’idea si discosta dallo status quo o dalle aspettative – e l’utilità – che riflette la praticità e la rilevanza di un’idea per il pubblico. Sulla base di questi parametri, è stato notato che da un lato le idee generate forniscono potenziali punti di partenza per dare origine a diverse trame, superare il blocco dello scrittore e la paura di una pagina bianca, ma dall’altro potrebbero anche inibire il flusso creativo ancorando lo scrittore a un’idea specifica o a un punto di partenza per una storia. Inoltre, l’output offerto dall’IA generativa può essere derivativo e quindi non fornire un terreno fertile per idee nuove.
La conclusione è che l’accesso all’IA generativa ha il potenziale per “professionalizzare” le storie, rimuovendo qualsiasi svantaggio o vantaggio basato sulla creatività intrinseca degli scrittori.
“Sebbene questi risultati indichino un aumento della creatività individuale, c’è il rischio di perdere la novità collettiva. In particolare, se l’industria editoriale (e dell’autopubblicazione) dovesse abbracciare più storie ispirate all’IA generativa, i nostri risultati suggeriscono che le storie prodotte diventerebbero meno uniche nel complesso e più simili tra loro. Ci troveremmo così in una spirale discendente: se i singoli scrittori scoprono che la loro scrittura ispirata all’IA generativa è valutata come più creativa, hanno un incentivo a utilizzare di più l’IA generativa in futuro, ma così facendo, la novità collettiva delle storie potrebbe essere ulteriormente ridotta”.
Va detto che lo studio presenta delle limitazioni sia rispetto alla variazione dei prompt (fino a 5) che nel tipo di output (racconto breve di otto frasi). “È possibile”, ammettono i ricercatori, “che l’effetto dell’IA generativa venga attenuato per storie più lunghe o che la possibilità di incorporare diversi media, come immagini o musica, aumenti la varietà delle storie. Il potenziale è enorme”, hanno dichiarato a TechCrunch, “ma non c’è dubbio che alla luce di questi primi risultati è importante valutare rigorosamente come i grandi modelli linguistici e l’intelligenza artificiale generativa influenzeranno le attività umane, inclusa la creatività, piuttosto che semplicemente implementata, partendo dal presupposto che avrà risultati positivi”.
Mi sembra un messaggio diretto agli scrittori, che quando usano le intelligenze artificiali per uscire con più libri e più in fretta, dovrebbero anche chiedersi che contributo stanno veramente dando con quei libri alla collettività. Si stanno uniformando agli interessi di una nuova industria succhiadati o stanno creando qualcosa di veramente innovativo e utile, che faccia luce sugli aspetti più ambigui di questa società tecnologizzata e ne lasci traccia per il futuro. Altrimenti, quale altro sarebbe il ruolo dello scrittore, oggi che le macchine sono in grado di imitarci?
Scrive Dan Holloway:
l’essenza della creatività non è la varietà all’interno di parametri ristretti, ma la fuga da quei parametri.