Da qualche tempo penso a un riposizionamento di questo sito, soprattutto sui social network. D’altronde questo Laboratorio di scritture comincia già ad avere i suoi rispettabilissimi 14 anni e di novità online ne sono saltate fuori parecchie, alcune durate l’arco di una stagione, altre diventate ormai di uso comune. Penso soprattutto a strumenti per la comunicazione visuale, Instagram, TikTok, con i quali non ho mai avuto grande dimestichezza, e ormai non ho neanche più lo spirito di buttarmici così, tanto per sperimentare, per vedere come va. Ho raggiunto quel livello di consapevolezza (leggasi una certa età) per cui sai che devi trovare un tuo modo di starci nelle cose, il che richiede tempo e un certo studio delle conversazioni; tempo che purtroppo o per fortuna no ho più tanto da perdere, perciò, per farla breve, mi sono detta “vediamo se queste intelligenze artificiali possono davvero facilitarmi il compito”. Così, ho cominciato a chiedere, per lo più a ChatGPT e al Copilot di Bing: puoi aiutarmi a stilare un Social Media Plan, a creare uno Short per YouTube, a trovare un titolo per un post?
I risultati finora sono molto generici, abbiamo già visto che è necessario fornire un contesto sufficiente affinché questi strumenti possano elaborare delle risposte valide. Molti suggeriscono di indicare al bot di impersonare “un esperto di”. In realtà, come leggevo su NN/g, dire a una IA di assumere un certo ruolo dà all’utente la sensazione di ottenere risposte di qualità superiore, ma ciò non è tecnicamente confermato. Il processo di antropomorfizzazione ha il duplice scopo di metterci a nostro agio nell’interagire con quello che è solo un programma per la macchina e ottenere in cambio la stessa considerazione, per così dire. Tutto ciò mi è parso molto significativo, tenendo conto che, quando parliamo a un’Intelligenza Artificiale, parliamo in un certo senso a noi stessi; qualcuno le ha definite “pappagalli elettronici”.
I generatori di linguaggio sono programmati attraverso interazioni con esseri umani per produrre output che somiglino a quelle che tali esseri umani qualificano come risposte plausibili (…) Le persone che leggono tali testi vi rintracciano un significato perché i grandi modelli del linguaggio costituiscono un’immagine sfuocata di tutto il testo presente nel Web (…) non risposte in senso proprio alle nostre domande, ma molto simili a come una risposta alla nostra domanda potrebbe apparire. I testi prodotti, perciò, riproducono la prospettiva egemonica e i suoi stereotipi.
Ed ecco perché nei toni e nei contenuti appaiono privi di valore informativo oltre che di intenti comunicativi, per riprendere le parole di Daniela Tafani su Agenda Digitale. Ma se queste risposte, l’IA, anziché rintracciarle da tutto il Web, le trovasse in noi stessi?
Tabella dei contenuti:
Prompt design per scrittori
Non mi sto inventando nulla, la tecnica del seed prompting, che più nello specifico si definisce background seed, prevede di addestrare un bot sulla base dei propri contenuti in modo che ne tenga memoria per generarne di nuovi, conservando lo stesso stile e “voce” autoriale. Dunque, non utilizzare l’IA come un assistente di marketing, ma per scoprire qualcosa di noi stessi: emergono delle idee dalla nostra scrittura, dei messaggi ricorrenti, uno stile definito, una poetica che ci collochi rispetto a un determinato pubblico? Non è affascinante che possa essere una macchina a definire i confini della nostra creatività? Sto forse esagerando? D’accordo, discuteremo di questo aspetto in un prossimo articolo, proviamo adesso a capire come si traduce nella pratica il seed prompting.
Quante volte abbiamo ripetuto che un autore indipendente, ma sempre più in generale gli aspiranti che intendono lanciarsi in un’impresa editoriale si troveranno a indossare diversi cappelli da quelli del narratore e quindi a dover scrivere testi per i quali non hanno la dovuta propensione – copy di vendita, ganci promozionali, ads -, ma non per questo bisogna snaturare il proprio stile. E’ possibile chiedere, ad esempio, a ChatGPT di scriverli per noi, per così dire, imitandoci affinché risultino autentici. Nella versione 4 sono disponibili alcuni plug-in a pagamento per velocizzare il tutto, ma a noi qui interessa capire (spero) il meccanismo che c’è dietro. Lo illustra dettagliatamente Better Marketing:
Il modo più semplice per avviare ChatGPT è fornire alcuni punti elenco prima del prompt. Ad esempio, supponiamo che tu voglia scrivere un’e-mail di benvenuto ai nuovi abbonati. Un ottimo prompt seed potrebbe assomigliare a questo:
{IL TUO NOME} =
{LA TUA NICCHIA} =
{IL TUO MEZZO/PIATTAFORMA} =
{TONO PREFERITO} =
{FATTI RILEVANTI SU DI TE} =
{COSA OFFRI NELLE TUE EMAIL} =Scrivi un elenco di oggetti accattivanti per un’e-mail di benvenuto, quindi scrivi un’e-mail di benvenuto estesa al mio nuovo iscritto.
La richiesta inizia stabilendo tutte le variabili, come il nome, la piattaforma, il tono, i fatti rilevanti sull’autore e ciò che l’abbonato può aspettarsi dall’essere nella lista e-mail. Quindi, sotto le variabili, c’è la richiesta effettiva a ChatGPT di scrivere l’e-mail di benvenuto. Il risultato è un’e-mail altamente personalizzata.
Quanto sopra è un esempio di base, ma il seeding può essere più completo; tramite i collegamenti, ChatGPT può estrapolare dai post del mio blog il tono e le mie opinioni per crearne nuovi su un argomenti diversi ma correlati, che riflettono accuratamente il mio stile e le mie opinioni.
Mappa dei lettori
Ora, dato che chiarire qual è la natura della propria scrittura significa anche comunicarla all’esterno di noi stessi, entrare in empatia con chi nelle nostre parole potrà ritrovarsi, diventa ancora più interessante, al fine di questa nostra analisi, capire cosa le IA sanno dirci dei nostri lettori. Ho sempre sostenuto che dall’analisi delle parole di un libro si può rintracciare il pubblico di riferimento, con il sostegno delle IA questo procedimento diventa meno astratto, a patto di comunicare il giusto input.
Su Lennon Labs ho scovato alcuni prompt per delineare la cosiddetta Empathy Map, in combinazione con i prompt precedenti, ovvero:
Sto creando per un pubblico di…
L’argomento è…
Genera una mappa dell’empatia in modo che io possa capire meglio ciò che il mio pubblico pensa, sente, dice, fa, vede e sente in relazione all’argomento.
Se le IA attingono da una cultura predominante, ebbene, secondo me, le risposte che si ricevono non sono distanti dalla realtà, soprattutto su ciò che riguarda ostacoli e desideri su cui fare leva. Non è un mistero che nel marketing si giochi sulle parole che provocano una risposta emozionale per convincere il pubblico all’acquisto: le trigger word, cui abbiamo accennato in un post su come trovare il titolo ideale per un libro.
Modelli linguistici, avvertenze e controindicazioni
Ribadisco, avviandoci alla conclusione, che bisogna valutare attentamente a quali dei nostri contenuti vogliamo che le intelligenze artificiali abbiano accesso. Al momento sono dei modelli di linguaggio, non dei veri e propri generatori, per tornare all’articolo di Agenda Digitale citato all’inizio: i testi prodotti, anziché generati dal nulla, sono definibili come una forma di “plagio automatizzato”. Ciò non esclude che nel futuro non possano creare dei veri e propri libri, inserendo una serie di parametri, come ipotizza Joanna Penn.
Una volta che il lettore ha risposto a una serie di domande, il libro viene generato e inviato al proprio dispositivo o a un servizio di stampa on demand, o potrebbe anche essere un audiolibro istantaneo (…) Questo tipo di libro soddisferà un certo tipo di lettori di generi specifici, persone che sanno esattamente cosa vogliono, ma non terrà conto dei libri di genere trasversale e di quelli scritti per esperienza personale, o di quelli in cui i lettori si connettono in qualche modo con l’autore; dunque non si sostituiranno al libro come lo conosciamo oggi.
Fatto sta che, però, la stessa aggiunge: l’utilizzo dei modelli linguistici di grandi dimensioni è affascinante e utile, ma è anche il motivo per cui non scriverò più libri di saggistica, “how to”, poiché ChatGPT e simili sono in grado di rispondere su qualsiasi tema in precedenza richiedeva ricerche approfondite o l’acquisto di guide, senza doverti o quasi spostare dalla conversazione.
Personalmente uso ancora le vecchie modalità di ricerca (anche questo tema sarà oggetto di un prossimo articolo), ma la Penn solleva un punto importante, ovvero che ci sarà molto da riflette su cosa davvero ci distingue come autori, e umani, che non può essere ridotto a un modello prevedibile. Intanto vi invito come sempre a condividere la vostra esperienza: state utilizzando l’intelligenza artificiale per la scrittura e con quali risultati?