Non ci volevo credere, quindi sono andata alla fonte. Ed eccola lì la formula per scrivere un libro di successo. L’hanno scovata dei ricercatori della Stony Brook University, applicando le regole della statistica matematica alla letteratura. Il loro è il primo studio in assoluto che prende in considerazione elementi quantitativi stilistici della scrittura per predire il successo di un determinato libro, con un margine di errore inferiore al 20%, sostengono.
Mente altri studi in passato hanno preso in considerazione le caratteristiche qualitative dei contenuti – trame, personaggi, genere – che si basano sulle conoscenze e intuizioni umane, questa è un’indagine che si fonda sui numeri; sul rintracciare modelli linguistici ricorrenti all’interno della letteratura di successo.
Lo studio è stato condotto prendendo in considerazione i 42mila titoli disponibili all’interno della libreria digitale del Progetto Gutenberg. Una scelta ben ponderata poiché, non potendo separare il successo basato sulla qualità letteraria dal successo commerciale, i ricercatori si aspettavano che i conteggi di download nel caso del P.G., fossero già più indicativi di un successo basato sulla qualità. Spiegate le premesse, passiamo ai risultati.
Quali sono le scelte linguistiche che determinano il successo di un libro?
È interessante notare come i libri di minor successo contengano verbi che sono esplicitamente descrittivi di azioni ed emozioni (ad esempio “volere” “prese”, “promise”, “pianse”, “si rallegrò”, ecc…), mentre nei libri di maggior successo si favoriscano verbi che descrivono meccanismi di pensiero (“riconosciuto”, “ricordato”) e verbi che hanno lo scopo di citare (“dire”). Inoltre, nei libri di successo si fa un uso più frequente di congiuntivi, aggettivi, preposizioni, nomi e pronomi determinanti, mentre i libri di minor successo sono caratterizzati da più alta percentuale di verbi, avverbi, termini stranieri e parole che potrebbero suonare quasi come dei cliché, ad esempio “amore”.
Un’ultima osservazione va fatta circa la connessione rilevata tra leggibilità e successo letterario. Due elementi che secondo gli studiosi procedono di pari passo, ma in direzioni totalmente opposte: la complessità concettuale di un’opera letteraria di grande successo potrebbe richiedere altrettanta complessità sintattica, che va contro la leggibilità… Insomma, un libro di grande successo è un libro praticamente inaccessibile a un lettore medio?
La ricerca è curiosa e merita di essere citata, ma siamo ancora molto lontani dal poter predire cosa determina il successo di un libro, visto che concorrono così tanti fattori, come il contesto sociale e storico, la fortuna, quel misterioso passaparola che si diffonde come un virus tra i lettori. Certamente c’è un unico fattore che prevale fra tutti: la buona scrittura.
Tanto è vero che, secondo la casa editrice Waterstones, che ha analizzato le caratteristiche ricorrenti nei bestseller degli ultimi 10 anni, uno dei requisiti necessari affinché un autore diventi campione di incassi è l’aver scritto almeno 13 libri!
2 risposte
Ci sono sufficienti elementi di perversione nell’applicazione (quantomeno arbitraria) della stilometria da parte di questi simpatici ricercatori. È ovvio che questo lavoro non ha nulla a che vedere con il senso originario stesso della disciplina, in primo luogo la determinazione dell’“authorship” ecc. Tu stessa (ti) poni diversi interrogativi, e quello finale è particolarmente significativo. La cosa che più colpisce (o dovrebbe colpire) è l’ossessivo abbinamento con “successo” che caratterizza analoghi punti di vista, tipici di diffuse (specie sul web) frange di audaci (speriamo comunque che la fortuna li aiuti). Osserva Pasolini che “il successo è l’altra faccia della persecuzione”; mi si potrà obiettare la non piena pertinenza dell’affermazione in questo contesto. Tuttavia resta l’ossessione americana (prontamente importata anche in Italia) per il “successo”, meglio ancora la persecuzione di cui sembrano essere vittime gli autori di questi esercizi di impressionismo parascientifico. Sembra inutile sottolineare che, a dar retta ai canoni individuati da questi arditi, a centinaia rimarrebbero esclusi dal cosiddetto “successo”, per varie ed evidenti ragioni, ma non ultima l’impossibilità di conferire tratti distintivi a questo o quell’autore. Lasciando perdere la storia del mondo, mi chiedo che ne sarebbe di giocolieri e infingitori come Queneau e Borges: senz’altro la farebbero franca (ma, ahinoi, non farebbero/avrebbero fatto “successo”). Oppure: Ellroy (“nei libri di successo si fa un uso più frequente dei congiuntivi, aggettivi, preposizioni, nomi e pronomi determinanti…”) oggi sarebbe ospite di qualche centro Caritas, per bene che gli andasse. Resterebbero i praticanti di unigrammi – e a quanto pare restano – della prima categoria (senza fare nomi).
Ad ogni modo interessante argomento di parodia, per quanto mi riguarda, rispetto al tema “Applicazioni tecniche del linguaggio”. Fase 1: http://comicomelo.blogspot.it/2014/01/applicazioni-tecniche-del-linguaggio.html
Grazie e un saluto.
La ricerca è sicuramente approfondita, ma resto sempre scettica (anche sui post di blog, che sono altro tipo di testo) quando si dice che l’uso di alcuni tipi di parole chiave sia più “gradevole” alla psiche rispetto ad altre parole. Non metto in dubbio la ricerca, ci mancherebbe altro… Vorrei solo tornare a una letteratura fatta di parole e non da ricerche.