Abbiamo visto come l’Intelligenza Artificiale può essere messa a servizio anche delle opere creative, un tipo di sperimentazione che in realtà si è sempre praticata con qualsiasi innovazione tecnologica abbia fatto la propria comparsa negli ultimi decenni.
Che il digitale abbia modificato profondamente l’editoria e il mondo della comunicazione è fuori di dubbio, il punto è chiedersi se in bene o in male.
Con l’avvento di Internet si sperava nella nascita di una nuova economia, spinta dalle produzioni dal basso, e dunque è stato preso per buono senza alcuna obiezione, lo stesso pare stia accadendo con questo nuovo cambiamento epocale innescato dalle IA. Ma, per come sono andate le cose a seguito della prima rivoluzione digitale, non dovremmo essere più disincantati? La capacità di questi strumenti di elaborare grandi quantità di dati, invece, sta già dando adito alle speculazioni: c’è chi prevede di poterli sfruttare per sfornare bestseller con assoluta certezza (come immaginato da Roald Dahl ne “Lo scrittore automatico”) o di velocizzare le uscite tagliando i passaggi intermedi (leggasi eliminare gli editor, il cui potere contrattuale è già quasi irrilevante), il tutto senza alcuna riflessione sulle possibili conseguenze che, come dimostrano le ricerche scientifiche, sarebbe necessaria.
Innanzitutto, da scrittori, dovremmo chiederci: cosa le intelligenze artificiali generative sono davvero in grado di creare? L’unico modo per comprenderlo è mettendoci a confronto. Lo ha intuito perfettamente Editrice Il Castoro pubblicando Viaggio Oltre L’Ignoto, risultato di una sfida narrativa tra essere umano e macchina. Il libro contiene due racconti che partono dalle stesse premesse: uno di un’autrice esordiente, Valentina Federici, e uno scritto al 100% dalla Intelligenza Artificiale.
Potevamo noi, in questo Laboratorio di Scritture, lasciarci sfuggire l’occasione di ospitare un’autrice che ha sfidato un’intelligenza artificiale? Dopo il primo tentativo andato a vuoto e un po’ di attesa delle sue risposte, Valentina Federici ci accompagna, nell’intervista che segue, in questo Viaggio Oltre L’Ignoto.
Come nasce l’idea del libro?
Viaggio oltre l’ignoto è un esperimento dato dalla curiosità di tre grandi autori per ragazzi e ragazze, Davide Morosinotto, Pierdomenico Baccalario e Marco Magnone che si domandavano quale sarebbe stato il futuro della scrittura (e degli scrittori) dopo l’avvento dell’IA. C’era un solo modo scientifico e certo per rispondere: mettere a confronto un umano e una Intelligenza Artificiale. Da qui, l’esperimento.
Trovo significativo che a proporlo sia un editore per ragazzi, la sua finalità è quella di educare le generazioni future all’uso consapevole di queste nuove tecnologie?
Per me il fine è prima di tutto quello di scatenare domande e un dibattito, cosa che in effetti è avvenuta. Una frase che io uso spessissimo parlando con le classi o negli incontri con adulti è: “più parliamo di intelligenza artificiale, più ci interessiamo all’intelligenza umana”. Frase che trovo bellissima (e infatti non è mia ma dello scienziato e divulgatore Massimo Temporelli). È una filosofia in cui mi ritrovo pienamente.
L’esistenza di questa nuova tecnologia ci spinge a farci delle domande sulle, e con, le nuove generazioni che cresceranno insieme a questo strumento. Cosa può darci? Quali sono i plus imprescindibili dell’uomo? Perché facciamo quello che facciamo? Insomma, se c’è una macchina che già ora riesce a svolgere in maniera mediocre i compiti che gli affidiamo, noi chi vogliamo essere e diventare? Ma soprattutto, come faremo a gestire una così grande potenza di cui noi siamo l’unico limite, visto che ancora non riusciamo nemmeno a pensare tutte le sue applicazioni? La sfida che questo libro vuole lanciare a ragazzi, ragazze ed educatori non sta nel trovare risposte ma sempre nuove domande, senza dare mai nulla per certo. Perché forse, la cosa che più ci rende umani è proprio il nostro spirito critico.
Come sei stata scelta per questa sfida con l’IA?
Ho conosciuto Davide (Morosinotto) e Pierdomenico (Baccalario) alla Bologna Children’s Book Fair, la più grande fiera di compravendita dei diritti per libri d’infanzia e adolescenza. Lì Book On A Tree, l’agenzia che i due hanno fondato insieme ad altri autori, ha uno stand aperto ai pitch di scrittori e illustratori. Nel 2023 mi sono presentata portando tre tavolette di cioccolato (dato che vengo dalla Svizzera, erano d’obbligo) e un manoscritto che hanno letto e venduto in pochissimo tempo. Quel manoscritto diventerà un libro fra pochi mesi con Editrice il Castoro.
Così ormai ci eravamo conosciuti, gli piaceva come scrivevo, ma soprattutto, non avevo ancora pubblicato niente, cosa essenziale perché il pubblico potesse fare un confronto alla pari con l’IA, senza pregiudizi. Quando mi hanno proposto di partecipare come elemento umano della sfida, ho detto immediatamente di sì, carica di tutto lo spirito agonistico di cui sono capace (che sulla scrittura non è poco).
Ho letto che per la stesura dei racconti, sia a te che al bot sono state date identiche “regole” per confrontare i processi di scrittura. Potresti dirci quali?
Siamo partiti innanzitutto da uno stesso seed, ovvero delle indicazioni di base della trama da svolgere (genere, ambientazione, numero personaggi principali, ecc..) e poi abbiamo dovuto seguire le stesse fasi, il che significa che ovviamente sono io quella che ha dovuto lavorare secondo gli step dell’IA. È stato quasi controintuitivo per un umano lavorare a un progetto creativo attenendosi a delle regole tanto strette. Abbiamo iniziato con il formulare una sinossi di una ventina di righe, per poi passare alla sinossi lunga, le schede personaggi, esplodere ancora la sinossi in beat, individuando ogni passaggio di temperatura della scena, e solo a quel punto è iniziata la scrittura vera e propria. È chiaro che io non ce l’ho fatta. Non è possibile passare a scrivere una sinossi lunga se non si conoscono i personaggi abbastanza bene, ed è diabolico cercare di continuare a scrivere i beat quando tu ormai conosci così bene la tua storia che muori solo dalla voglia di dar vita alle scene.
Questi parametri non dimostrano, secondo te, che le IA possono lavorare solo entro certi limiti ristretti, mentre la vera creatività è quella che tende a fugarli?
Secondo me quello che l’esperimento ha dimostrato è che l’IA è davvero solo uno strumento e che la creatività siamo noi. La IA può essere creativa solo se noi sappiamo riconoscere nelle risposte ai nostri prompt del materiale interessante. L’obiettivo delle IA è svolgere un compito ma non ha un gusto, non ha consapevolezza di quello che sta facendo e non ha uno scopo, tutto questo è solo umano. Siamo noi che quando scriviamo ci immaginiamo un lettore, uno che come noi vuole sorprendersi, emozionarsi e restare attaccato alla pagina. È per lui che scriviamo. L’IA no. Un esempio lampante è il finale del racconto del libro scritto dall’Intelligenza Artificiale. Quando ha reso la sinossi che è stata scelta, i curatori del progetto hanno detto: “wow, questo finale è geniale!”. Quando poi è andata a svolgerlo in fase di scrittura, lo rovinava. Sempre. Questo perché non aveva capito dove fosse la genialità quindi lo elaborava secondo quegli schemi probabilistici che le sembravano più adatti al finale. E non c’è niente di geniale nella ricorrenza stocastica. Motivo per cui alla fine i suoi allenatori hanno proprio dovuto darle indicazioni stringenti perché non rovinasse il finale che aveva ideato senza averne capito la bellezza.
Secondo le tue conclusioni, questa IA sarà davvero in grado molto presto di “creare” secondo quella che è la concezione umana del termine? E con quali conseguenze?
Perché una IA possa creare secondo la modalità umana non dovrebbe essere quella che è ora, ma dovrebbe diventare una AGI, cioè sviluppare coscienza di sé. Il che significa non implementare le IA esistenti ma creare un nuovo modello matematico, diverso da quello su cui gli attuali LLM (large language model) sono basati.
Sicuramente però l’IA diventerà uno strumento sempre più efficace. Già oggi le sue potenzialità di scrittura sono maturate tantissimo rispetto al settembre 2023, quando è stato portato a termine il nostro esperimento. Ma resta sempre il filtro del potersi chiedere: cosa sto facendo? Cosa voglio comunicare? Che è totalmente umano e ancora molto lontano dall’essere replicato.
Il discorso allora prende una piega etica.
Ci saranno certamente scrittori che vorranno aiutarsi con l’IA. Ecco allora che riacquistano importanza le domande che ci siamo fatti all’inizio: perché facciamo quello che facciamo? Perché scriviamo se può farlo anche una IA? Possiamo risponderci che vogliamo solo raccontare una storia e la scrittura non è il nostro obiettivo, allora scrivere con l’IA potrebbe andarci benissimo. Secondo me però sarebbe corretto che questo venisse anche dichiarato ai lettori.
Oppure, potremmo farlo perché scrivere è quello che amiamo fare e quello che ci fa star bene. Perché quello che vogliamo non è la banalità della probabilità stocastica. Non è detto che saremo in grado di raggiungere il nostro obiettivo qualitativo, magari ci servirà tutta una vita di tentativi, ma nel frattempo saremo, senza ombra di dubbio, scrittori. Saremo noi stessi e magari, anche poco poco, felici.