Ve lo avevamo anticipato questa estate: l’autore de L’uomo senza cappello e la donna con le scarpe grigie, ci avrebbe spiegato più approfondidamente di quando abbia fatto la bloggante, cosa sono i romanzi ipertestuali e come si scrivono.
Anche se con un leggero ritardo Chinalski è stato molto generoso e ci ha voluto regalare una serie di post molto dettagliati sull’argomento, che verranno pubblicati settimanalmente.
Il primo è dedicato alla definizione di iperromanzo.
Buona lettura e arrivederci alla prossima settimana con Le lezioni di Chinalski.
Iperromanzo è una parola coniata qualche anno fa che racchiude al suo interno l’idea di qualcosa che sia di più di un romanzo, che vada oltre ai normali confini attribuiti al romanzo.
Il problema è definire cosa sia un romanzo, a questo punto. Ma noi non lo faremo, lo hanno già fatto in tanti, e per quanto siano studi interessantissimi, una definizione di romanzo dal punto di vista dei contenuti forse non è ancora stata data, e forse non potrebbe essere data, anche perché il romanzo nel tempo è diventato sempre più complesso, e sotto il suo nome è arrivato a comprendere modalità di narrazione che magari solo pochi anni prima non sarebbero state accettate. Lo spazio del romanzo si è sempre più allargato, e il limite dell’iperromanzo si è sempre più allontanato.
Facciamo qualche esempio. Se noi consideriamo che nella letteratura teatrale greca erano mantenute l’unità di spazio, di tempo e di azione, la maggior parte dei romanzi successivi, a partire dall’Orlando furioso (scritto in forma di poema, ma pur sempre un romanzo dal punto di vista dei contenuti), sono iperromanzi in quanto si sviluppano su periodi temporali, luoghi e avvenimenti molto diversi tra di loro. I Promessi sposi, ad esempio, per ciò che riguarda il luogo si sviluppano a grandi linee in due paesi nei dintorni del lago di Como, successivamente a Monza, poi a Milano, infine nel bergamasco. Per ciò che riguarda il tempo invece la storia di Renzo e Lucia è narrata in modo sequenziale, senza salti temporali, ma il capitolo relativo alla storia di Gertrude, la monaca di Monza, narra fatti relativi a vari anni prima rispetto ai normali eventi della storia principale.
Un altro esempio è l’Ulisse di Joyce: leggere i pensieri, il flusso di coscienza di Molly Bloom sicuramente colpì i contemporanei come una nuova possibilità della letteratura, e avrebbero potuto sicuramente definire l’Ulisse un iperromanzo, poiché permetteva una dilatazione della possibilità espressiva del libro: mai prima di allora il lettore aveva potuto partecipare in “presa diretta” ai pensieri di un personaggio, e in quella forma particolare che ricostruiva l’affastellarsi delle idee nella mente umana, per salti e per associazioni. Oggi qualsiasi autore potrebbe inserire nel suo libro una parte in cui espone i pensieri di un personaggio, e il lettore non si stupisce più, poiché oramai questa modalità fa parte del concetto che abbiamo di romanzo.
In definitiva iperromanzo potrebbe essere considerato ciò che travalica i normali schemi accettati per i romanzi in un dato periodo.
5 risposte
Io sto dalla parte dell’infraromanzo, in un’epoca come la nostra, marcata dagli spruzzi degli sms, mi pare che l’iperromanzo possa determinare condizioni d’eccessiva inferiorità in chi leggerebbe troppo dovendosi dimenticare, di conseguenza, il liberatorio cazzeggio. Dunque, secondo il mio eccellentissimo parere, espresso da una postazione battagliera perché elevata dal rango dello scrittore di minchionerie mitiche quale sono, la libertà rappresenta sempre e comunque l’obiettivo finale. Ma quale libertà può celarsi dietro o dentro la lettura di un raccontone gonfiato che zompa di qui e di là tra i meandri di una temporalità che può solo comunicare smarrimento? La libertà dello scrittore, per fortuna, non coincide con quella del lettore, come non sono sovrapponibili l’utilitaria del lettore e la Maserati dello scrittore. Leggere poco e con disattenzione può risparmiare l’assorbimento di un sacco di balle vendute a un costo esorbitante, e concedere il tempo per andarsi a fare una canna ai giardinetti dove le mamme ti guarderanno storto, a causa della paura che gliela passi ai loro figli che si fanno di coca.