Le memorie di Don Vito

Quando accompagnavo mio padre capitava di attenderlo spesso in macchina insieme ad altri giovani aspiranti al successo. Io ero il suo autista, il presidente Shifani, oggi seconda carica dello Stato, guidava l’auto di Peppino La Loggia e il presidente Totò Cuffaro faceva l’autista di calogero Mannino. Loro si che hanno fatto carriera…

Questo breve passaggio del libro di memorie che Massimo Ciancimino ha scritto con l’aiuto del giornalista Francesco La Licata e suo fratello Giovanni, è la sintesi precisa di cosa sia stato e quanto ancora sia incisivo nel nostro Paese, il cosiddetto “sistema Ciancimino“. Ossia, quella longeva contiguità tra Stato e mafia, di cui don Vito, padre di Massimo, assessore ai lavori pubblici e poi sindaco di Palermo, è stato l’anello principale, fin dagli anni ’50.

La storia di Vito Ciancimino, nato a Corleone nel 1924, si intreccia drammaticamante con le pagine più oscure della nostra storia.Inizia con lo sbarco degli alleati in Sicilia, episodio che misteriosamente farà la fortuna della famiglia Ciancimino, e prosegue attraverso il sequestro Moro, la strage di Ustica e i tanti agguati subiti dallo Stato durante il corso degli anni ’90.

La mafia descritta nel libro Don Vito, edito da Feltrinelli, non è la criminalità organizzata che nasce e si alimenta nel degrado dei quartieri poveri – come quella raccontata da Saviano in Gomorra – è la Cosa Nostra d’alto bordo, è la mafia dei salotti buoni che da da magiare a tutti; uno status simbol per gli imprenditori della Palermo da bere.

In questa sorta di accettazione sociale, il “sistema Ciancimino” ha trovato la sua forza ed è sopravvissuto anche ai colpi più forti infertigli dai siciliani in rivolta dopo la morte dei giudici Falcone e Borsellino o da tangentopoli. Ne sia una prova proprio il fatto che molti di quei personaggi di seceondo piano negli anni ’80, sono poi divenuti elementi di spicco nell’attuale quadro della politica italiana. Ovvio che una tale resistenza non ci sarebbe stata senza l’appoggio degli apparati dello stesso Stato.

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Ma se nel passato la ricerca di una status quo trovava la sua giustificazione nella difesa dal pericolo comunista, oggi, il sistema non ha ragion d’essere se non nell’interesse privato di pochi (vedi i personaggi di cui sopra). Dal libro sembra chiaro, come è chiaro che ormai parlare di mafia, intesa come “anti-stato”, è troppo riduttivo.

Sono talmente tanti e tali gli interessi in gioco che, quel sistema, ha ingurgitato e poi sputato via lo stesso Don Vito con tutti i corleonesi.

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