Chi brucia i libri a Bologna? Chi li tiene in memoria per conservarli e fare in modo che restino attraverso gli incendi della ragione? Fa qualche differenza se questi libri non esistono e se la loro memoria è una memoria di silicio?
Questo il commento di Maria Cecilia Averame, responsabile editoriale di Quintadicopertina, su ciò che è accaduto durante l’evento-incontro-laboratorio sull’editoria digitale, Fahrenheit 451, tenutosi sabato e domenica scorsa a Bologna presso il laboratorio Crash.
“Festival popolare dell’editoria digitale”, la caratterizzazione è stata forte e se vogliamo quasi paradossale: l’editoria digitale può essere “popolare”, quando per leggere un ebook c’è bisogno di un ereader o un tablet non certo alla portata di tutte le tasche, per comprare gli ebook è necessario avere una carta di credito o un account su Paypal ed essere dotato di una connessione internet?
Insomma, noi editori (parlo come Quintadicopertina) non stiamo forse cercando di vendere i nostri testi a un pubblico che oltre che essere culturalmente preparato deve possedere anche un portafogli adeguato?L’approccio popolare invece è stato vincente. Al Crash si è riuscito a parlare delle dinamiche dell’editoria digitale mettendo assieme i dubbi e le domande dei “piccoli”: le piccole librerie, come Trame, Info modo shop, Dans la rue – agguerrite realtà bolognesi – dei piccoli editori tradizionali come Odoya e Agenzia X, dei giovani autori, e di alcune realtà digitali (oltre a noi c’era Guaraldi, sempre in prima linea fra tradizione e novità e Area 51 Publishing).
Moltissimi gli incontri, le discussioni e le tavole rotonde, si è parlato di ebook, si è parlato di come farli, aprendoli e andando a vedere i loro tag e analizzando i pro e i contro dei vari tool per lo sviluppo. Si sono anche visti dei videogiochi, e si è pensato come la narrazione esca dai libri per coinvolgere altri media.
E’ una situazione molto liquida che viene tenuta sotto osservazione da molti attori: lettori, editori indipendenti, distributori, scrittori. Da un lato c’è interesse per una forma di editoria che può svincolarsi da molte delle costrizioni commerciali e di potere dell’editoria tradizionali; dall’altro si nota con un certo allarme che in digitale si stanno creando le stesse dinamiche commerciali che caratterizzano l’editoria tradizionale, che spesso sono di nuovo in mano agli stessi vecchi attori della filiera cartacea.
A tutti è apparso come il digitale possa rappresentare una risorsa, anche e soprattutto se riuscendo a svincolare il “prodotto libro” dall’idea di distribuzione, fornitura e diffusione di cultura. Ruolo che vedrebbe coinvolte anche le librerie, che la crisi del libro la subiscono in maniera esponenziale.
Il futuro come una babele sociale abitata dai lettori, critici, editori, scrittori, che sono poi coloro che sono interessati a far si che il testo narrato non sia soltanto un prodotto commerciale, ma anche un luogo culturale e di scambio sociale.
Quale sia questo luogo, ma soprattutto quale siano le regole di questa socialità virtuale, è ancora da capire: abbonamenti agli scrittori vanno di pari passo con contratti di distribuzione digitale dati in esclusiva, così come piattaforme di socializzazione di lettura hanno al loro fianco il vecchio “pizzo” del pagamento degli sconti ai distributori e agli store finali. Nuovi teoremi di editoria digitale si accompagnano ancora a forme tradizionali e commercialmente impattanti, specie in un mercato che, nonostante il grande clamore mediatico, continua ad orbitare attorno allo 0,1 del fatturato complessivo.
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