A Morgan
Tu che per difetto o per scelta ti sei ritrovato tra le mani queste mie pagine, ti prego di non proseguire oltre nella lettura.
Sappi che queste righe sono il prodotto di mesi e mesi di sofferenze atroci quasi fisiche, poiché il dolore che vi ho descritto è molto più di una pena dell’anima.
Non arrogarti il diritto di codificare e giudicare quel che è stato della mia vita e le mie mancanze e le mie voglie strane fuori da qualunque raziocinio.
Ho patito troppo, per crucciarmi ora del giudizio di chi come te morbosamente è pronto a imputarmi colpe per quello che invece è stato il caso a farmi pervenire.
Io sono una persona malata.
E delle malattie non ci si fa gabbo alcuno. Tienilo presente se tu volessi proseguire oltre a leggere le mie parole.[…]
Tu ti sei mai sentito estraneo a te stesso? Se non lo hai mai sperimentato su di te, augurati di non riuscire mai e poi mai a capire il senso di questa mia domanda. Prendila come una frase fatta buona per alcune circostanze.
Non emulare i procedimenti mentali che hanno portato me e altri a me simili a sciagurate conclusioni. Vivi della consuetudine che crea normalità.
E se proprio vuoi addentrarti nel mio mistero espresso da questo punto della pagina a seguire, creati una corazza impermeabile alla suggestione.
Non ci si sveglia una mattina decidendo di fare i matti. Sarebbe curiosa una simile evenienza. No, ci si scivola pian piano, senza rendersi conto delle proprie lacune visibili solo agli occhi dell’altra gente. Un processo graduale che rimescola i pensieri facendo apparire plausibili cose che invece sono assurde.
Dio ci ha fatto dono della ragione, per distinguerci dagli animali.
A qualcuno di noi l’ha tolta. Senza comunicarci perché ci ha voluto simili alle bestie.
Ripensare a distanza di tempo ai fatti di cui siamo stati capaci, ci riempie di vergogna e pentimento. E non possiamo imputarne la colpa a nessuno, se non a noi stessi, a quel posto nefasto della nostra psiche dove viene elaborata simile roba insensata.
Ma non è farina del nostro sacco la scemenza che fuoriesce dalle nostre labbra o dai nostri gesti. Il diavolo sicuramente ci ha messo ben più dello zampino. Si è divertito sulle nostre spalle rendendoci ridicoli o a volte tragici attori di cronache irriferibili.
Allora, se sei pronto, vienimi da presso…
Avete appena letto un’estratto di “Quello che so di me” ebook in adozione del mese propostoci da Sandro Salerno.
Medico quarantenne, romano, si presenta come un divoratore di cultura, “compresi gli ingredienti dei detersivi”. Ha letto “Autodafè” di Canetti, “L’uomo senza qualità” di Musil e “Ulisse” di Joyce. E li ha pure compresi per bene. Potrebbe scrivere qualche pagina come Gadda ne “La cognizione del dolore”, ma non rispecchierebbe il suo carattere, perché scrive come parla. A vanvera.
Eppure ha pubblicato “Un tubo in gola” per Caosfera edizioni, apparso su 24Letture, è stato selezionato per il migliore incipit inedito su “La Lettura” del Corriere della Sera con “Storia semiseria di un piccione sedentario” e adesso è in concorso per IoScrittore 2012.
Vorrebbe aver scritto “Martin Eden”, invece ha scritto e pubblicato “Quello che so di me” su Amazon. La storia di Ginevra, ricoverata in una clinica psichiatrica per aver tentato di strangolare il figlio, temendo che stesse per diventare matto come lei.
Vive in camera con Letizia, una donna strana e taciturna che nasconde molte cose. Stanno chiuse in camere serrate dall’esterno, con qualche momento di libertà. Ricevono poche visite, soltanto autorizzate. Discutono delle loro storie. Frequentano altre persone nella clinica Minerva. Hanno avuto mariti, figli, relazioni diverse. Adesso sono in perenne attesa.
Succederanno cose strane. Come tutte le storie che riguardano i matti.
Se anche a voi è venuta voglia di leggerlo, tornate a dirci cosa ne pensate. Vi aspettiamo.