Il tweet di Paolo Costa riassume bene il focus dell’ultima Conferenza internazionale sul futuro dell’editoria digitale.
Up to now many stories, few books at #IBT15. Is this the message? — Paolo Costa (@paolocosta) 27 Marzo 2015
D’altronde, come anticipava Marco Ferrario di BookRepublic, nel post di presentazione If Book Then 2015:
“Oggi le storie si identificano sempre meno con un prodotto e sempre di più con esperienze; la tecnologia ci consente di fare esperienze nuove e diverse delle storie e con le storie; tutti ne saremo coinvolti e sarebbe un peccato che non ci dessimo la pena conoscerle”.
Tra gli interventi più attesi e partecipati della Conferenza, quello di Peter Brantley, direttore delle Digital Library Applications alla New York Public Library, “Machine age readers: The network shapes storytelling”.
“Una delle cose che mi interessa di più ora sono i big data applicati alla letteratura”, racconta in un’intervista su Repubblica.
“Più leggiamo su dispositivi digitali, più produciamo dati su quel che leggiamo, come lo leggiamo, quando e in quanto tempo. Più dati vengono raccolti sulla lettura più capiamo sulla letteratura stessa guardando come viene fruita. Per questo gli editori stanno scandagliando questa grande quantità di informazioni. E allora mi chiedo se, interpretandole, potremmo iniziare a raccontare storie diverse da quelle scritte fino ad oggi.
(…) cosa potrà fare uno scrittore ad esempio sapendo quali pagine saltiamo, o se andiamo veloci o meno su un certo capitolo, se finiamo un libro. E mi chiedo cosa potrebbe fare sempre uno scrittore analizzando i dati legati all’Internet delle cose. Tutti quei dispositivi, dai termostati alle tv smart, che dicono molto delle nostre abitudini. Questa massa di dati potrebbe entrare nel letteratura e potrebbe cambiarla perché restituisce un’immagine delle persone molto più a fuoco che in passato”.
Ma soprattutto Brantley si è chiesto chi ha il controllo su questo scenario: a chi appartengono questi dati? Quindi, di chi è lo storytelling?
E’ vero che gli editori si stanno già attivando per capire come sfruttare al meglio le informazioni raccolte dalle piattaforme di lettura, ma la risposta richiede un cambio di prospettiva.
Il vero competitor oggi di un brand è lo user generated content, è con gli utenti che si dialoga (e si coopera) A. Rossi #IBT15 @LancomeUSA— Bookrepublic (@Bookrep) 27 Marzo 2015
Ad entrare in contatto con i lettori è chi crea il contenuto, gli scrittori e non i brand, ovvero gli editori. Già oggi gli scrittori che pubblicano online hanno modo di accedere a diverse statistiche sulle abitudini di lettura degli utenti, attraverso strumenti di facile utilizzo (Wattpad, Goodreads, lo stesso Google Analytics se si pubblica su un blog). Questo significa poter scrivere racconti personalizzati, che cambiano a seconda del riscontro dei lettori.
Già qualche anno fa Alan Jacobs spiegava come nel futuro le nostre conversazioni sui libri potrebbero iniziare sempre meno con la domanda “Hai letto quel libro?” Sostituita da: “Quale versione hai letto del libro?”.
Questo implica che chi aspira a fare lo scrittore dovrà imparare ad utilizzare anche strumenti di marketing e analisi, per aprire un dialogo diretto con i lettori. Del perché adattarsi ad un tale cambiamento lo sottolinea ancora una volta Brantley:
“Penso che, come scrittori, bisognerebbe guardare a dove le storie sono richieste e non dove hanno vissuto fino a ieri, facendole nascere in posti diversi. Non solo libri quindi, ma una forma di racconto organico legato più alla vita”.
E voi che ne pensate?