Quest’anno di letture si è chiuso esattamente com’è cominciato, con un libro di David Foster Wallace: “Di carne e di nulla”, che inaugura il nuovo interesse di Storiacontinua per la non-fiction creativa.
Ma la passione per DFW è iniziata quando, proprio nel dicembre 2012, ho aperto per la prima volta Infinite Jest (il miglior regalo di Natale mai ricevuto!).
Leggere questo romanzo così stratificato di storie e significati è stata un’avventura emozionante che, malgrado le mille e più pagine affrontate, ho voluto prolungare dedicandomi alla biografia scritta da T.D. Max, “Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi” e poi a “Brevi interviste con uomini schifosi” in cui Wallace riprende e approfondisce la tecnica delle domande non scritte già sperimentata sul personaggio di Orin Incandenza in Infinite Jest.
Il modo in cui Wallace riesce a far rispondere con grande naturalezza i suoi personaggi a dei quesiti mai riportati nel testo, posti da una giornalista di cui non si sa nulla, accentua l’effetto realistico delle scene, coinvolgendo il lettore ad un livello altro; lo rende quasi co-autore con la sua l’immaginazione di tutte le parti mancanti del racconto.
E per quanto l’intero brano “Ottetto”, contenuto nella raccolta, ironizzi sulla meta-narrativa, e sui brani bellettristici che cercano di aprire una sorta di proscenio di pretesa realistica, Wallace ne è un vero maestro. Ribalta i ruoli continuamente, diventa il lettore che se ne sta quaggiù a tremare nel fango insieme a tutti noi, che non possiamo più metterci seduti a leggere soltanto per cercare di evadere dal flusso insolubile di se stessi per entrare in un mondo di significato precostituito.
Se vi ho incuriosito, rimaniamo sul genere post-moderno, con “Il tempo è un bastardo”. Ne avevo già scritto in occasione dell’assegnazione del premio Pulitzer nel 2011. Alla scrittrice Jennifer Egan venne riconosciuta una grande capacità di investigare, attraverso il racconto, i mutamenti della società digitale.
Il libro segue le vicende di numerosi personaggi a partire dagli anni ’80 fino al 2020, a volte andando a ritroso nelle loro vite, altre con repentini salti in avanti. Ciò che li tiene tutti legati è in qualche modo la musica, ma in effetti l’autrice si sofferma molto di più sul modo in cui comunicano tra di loro. La tecnologia si insinua nel loro quotidiano sostituendosi al contatto fisico e alle parole espresse ad alta voce.
Ti posso messaggiare?
(…)
E’ puro. Niente filosofia, niente metafore, niente giudizi.
Anche la scrittura ne esce contaminata. La piccola Allison, ad esempio, rappresentante delle ultime generazioni, scrive il suo diario in Power Point. Ok già adesso sembra obsoleto, ma il punto è che per sua madre Sasha, quella lì, non è affatto scrittura.
“Io vedo un sacco di spazio vuoto. Le parole quando ce le metti?” chiede.
Il fatto è che, vedendo la resa su carta del celeberrimo capitolo in Power Point, che tanto ha fatto discutere all’uscita del romanzo, la Egan abbia voluto mettere in mostra non tanto uno strumento della tecnologia digitale, ma come stanno cambiando i nostri schemi di pensiero ed espressione a causa (o per merito) della tecnologia.
Leggete quelle 70 pagine del 12° capitolo di “Il Tempo è un bastardo” online, su Slide Share e poi leggetele su carta e sono certa capirete meglio a cosa mi riferisco.