E’ ancora tempo di consigli di lettura; quello di Storiacontinua per l’estate è “Palomar” di Italo Calvino.
Non un libro semplice da leggere, per chi non è amante delle descrizioni, ma capace di sorprenderti con episodi davvero spassosi, come ne “Il seno nudo” o “Serpenti e teschi”.
Il protagonista, il signor Palomar, porta il nome di un famoso telescopio e, in effetti, è attraverso i suoi occhi che osserviamo il mondo descritto nel libro, dal piccolo particolare delle piante di un giardino fino a scrutare l’infinito universo, che ci avvolge e ci collega gli uni agli altri.
La stessa divisione del libro in capitoli e paragrafi è strutturata secondo tale percorso:
Le cifre 1,2,3, che numerano i titoli dell’indice, siano esse in prima, seconda o terza posizione, non hanno solo un valore ordinale ma corrispondono a tre aree tematiche, a tre tipi di esperienza e d’interrogazione (…)
- Gli 1 corrispondono generalemente ad un’esperienza visiva.
- Nei 2 sono presenti elementi antropologici, culturali in senso lato.
- I 3 rendono conto di esperienze di tipo più speculativo, riguardanti il cosmo (…) i rapporti tra l’io e il mondo.
Una struttura matematica perfetta (3 numero perfetto, no?), che bene si presterebbe ad una trasposizione in Rete, da leggere tramite collegamenti ipertestuali.
Calvino, però, non manca mai di ricordarci che stiamo scrutando il mondo attraverso gli occhi e la coscienza di un uomo, forse il più imperfetto ed inadeguato tra gli uomini.
Scrive:
il signor Palomar invidia le persone che sanno subito quale conto fare di una persona in rapporto a sé e in assoluto. “Queste doti – pensa Palomar col rimpianto di chi ne è privo – sono concesse a chi vive in armonia col mondo. A costoro riesce naturale stabilire un accordo non solo con le persone ma pure con le cose, con i luoghi, le situazioni, le occasioni (..) con l’aggregarsi degli aninimi e delle molecole (..) A chi è amico dell’universo, l’universo è amico. Potessi mai – sospira Palomar – essere anch’io così!”
Con questo rammarico Palomar decide di diventare solo osservatore della vita, guardare dal di fuori, ma il suo sguardo è quello di un miope: gli ci vuole del tempo per mettere a fuoco, dovendosi destreggiare tra i mille richiami della civiltà di massa e una natura che prolifera caotica, indifferente al destino dell’umanità.
Si intuisce un’armonia possibile come tra due armonie eterogenee.
Eppure, al rimpianto del paradiso perduto, Palomar preferisce afferrare quel che il giardino può ancora dargli a guardarlo nella sola situazione in cui può essere guardato, sporgendo il proprio collo tra altri colli.
Finché sorpreso dalla gente che scuote il capo osservandolo, spazientita del suo incongruo comportamento, Palomar ritorna alla realtà del quotidiano.
Come se gli automatismi della civiltà di massa non aspettassero che quel suo momento d’incertezza per riafferrarlo in loro balia.
Una risposta
Un “osservatorio” sempre attuale quello di palomar