Affinità-divergenze tra la scrittura individuale e collettiva – ancora un guest post firmato XOmegaP.
Vorrei poter dire che dopotutto non è stato così difficile, o quantomeno che l’entusiasmo ci ha portati dritti alla meta sbaragliando ogni sfida e guidandoci alla risoluzione di tutte le avversità, ma mentirei.
L’impatto iniziale (n.d.r. con la stesura di Finistrerra) è stato tremendo, abbiamo iniziato stabilendo la scaletta dei primi cinque capitoli e scrivendone uno a testa. Ci pareva di avere definito sufficientemente bene i tratti generali del mondo e di esserci dati una scaletta piuttosto precisa. Leggendoli l’impressione è stata: cinque capitoli di cinque storie diverse ambientate in mondi diversi. Abbiamo dovuto buttare via tutto, ridiscutere da capo ogni cosa a un livello di approfondimento del tutto diverso, e ricominciare.
Un anno dopo avevamo una prima stesura del primo romanzo, ma era sostanzialmente illeggibile. Nonostante avessimo passato giornate intere a discutere e ammucchiato chili di appunti, ancora le storie avevano dei mood molto diversi. Specialmente era piuttosto chiaro che tre di noi avevano un’impostazione più di stampo “Martiniano” e due più di stampo “Tolkieniano”. Ciascuno è tornato sui suoi capitoli per una terza volta, ma ancora la cosa non funzionava, finché non abbiamo deciso di eleggere (democraticamente e con voto segreto) due “supereditor” a cui affidare “poteri eccezionali”. Sarebbero stati loro a proporre come e dove limare il testo in modo che ne risultasse una storia il più possibile coerente. A loro pure il compito di cercare di uniformare il più possibile la scrittura in modo che ne risultasse uno stile abbastanza omogeneo da poter essere letto. Ma nemmeno in questo modo è stato facile, per quanto certamente “necessaria”, la buona volontà dei “supereditor” non è certo stata sufficiente a garantire un percorso tranquillo.
Credo che la verità sia in ultima analisi questa: è assai difficile sintetizzare quale sia il modo migliore per gestire una scrittura collettiva all’interno di un progetto che ha la complessità di “Finisterra”. Noi siamo soliti dire che in questi anni abbiamo imparato relativamente poco riguardo a come fare, ma molto riguardo a come non fare. Ossia abbiamo imparato a schivare trappole: a evitare di lavorare il triplo del necessario, a comprendere come e quando il tempo investito prima di iniziare a scrivere è ben speso e quando e come gli aggiustamenti vanno invece fatti per forza dopo. Ma al di là di questo la scrittura collettiva per noi è rimasta un processo magmatico, su cui si stratificano sedimenti successivi di creazione e distruzione, perennemente dialettico, soggetto a continue ridefinizioni e aggiustamenti di tiro, in cui esistono molti più casi “particolari” che “generali”.
Eppure, anche in mezzo a tutte queste difficoltà, la scrittura collettiva ha indubbiamente la sua bellezza e la sua ricchezza.
Forse ancora non emerge appieno dal primo libro della nostra saga, costretto da un lato dalla classica struttura “a ricerca” e dall’altro fin troppo denso di setup; ma sono fiducioso che si vedrà meglio nei prossimi due capitoli quando la storia e i personaggi si dispiegheranno nel pieno della loro forza e complessità.
Il punto nodale è questo: non credo che nessuno di noi sarebbe mai riuscito a pensare da solo a una creazione così articolata e così ricca di dettagli. Inoltre il confronto continuo a cui ci siamo sottoposti ha costantemente messo alla prova la tenuta “logica” dell’impianto e ne ha ridefinito i contenuti ogni volta che non erano abbastanza soddisfacenti. In infinite sedute di brainstorming, ciascuno ha messo sul piatto conoscenze, dubbi e idee perché a ogni singola domanda fosse data la risposta migliore.
Ma c’è anche dell’altro: siccome ciascuno di noi era di fatto chiamato a recitare la parte di un personaggio diverso ha potuto approfondirne con cura le motivazioni, le istanze, lo sviluppo e la crescita interiore (il cosiddetto “arco del personaggio”). Insomma questa storia ha in tutto e per tutto cinque protagonisti, parimenti approfonditi e gestiti da altrettante “menti” in maniera quasi esclusiva.
Tutto questo nella scrittura singola manca ed è senza dubbio una ricchezza. Specialmente manca il lavoro di confronto: manca il momento in cui, quando si tratta di riempire di significato la frase “il protagonista con un ingegnoso stratagemma conquista il castello”, qualcuno ti dice in diretta che quell’espediente non è abbastanza buono, non è credibile o magari è troppo banale.
Per contro è pressoché impossibile per ciascuno farsi un quadro unitario sufficientemente dettagliato della storia. E’ piuttosto ovvio: qualsiasi storia all’interno della mente di un singolo autore assume automaticamente un certo grado di organicità. Per il fatto stesso che la storia è una sua costruzione, viene pensata automaticamente con gli elementi “giusti”, perché mentre narra agli altri lo scrittore singolo narra anche a sé stesso quindi automaticamente i dettagli della storia, almeno in superficie, si tengono tra loro. Nella scrittura collettiva questo automatismo cade miseramente: quasi ogni scena, persino ogni frase contiene un’insidia, si espone all’incerto che qualcun altro che abbia parlato della stessa cosa altrove, o comunque che contenga dettagli che confliggono con la logica di quello che qualcun altro ha scritto. E non abbiamo ancora cominciato a parlare di come i protagonisti interagiscono tra loro.
Comunque sia, tra i marosi di tutte queste difficoltà, la scrittura collettiva è qualcosa che consiglio a tutti gli aspiranti autori. Non deve essere “esclusiva” né “per sempre”, e va coltivata per gradi e insieme a persone per cui nutri stima e fiducia perché, parliamoci chiaro, scrivere insieme significa rimettere innanzitutto nelle mani di altri una buona quota di “ego” e di “libertà da artista”, cose a cui di solito lo scrittore è piuttosto affezionato.
Però al contempo è anche un’occasione di crescita che non ha eguali; per il mestiere dello scrittore, perché tale è anche se in pochi hanno la fortuna di farlo realmente per mestiere, servono una quantità sconfinata di competenze sia “tecniche”, che “culturali” che “umane”. Sono qualità difficili da accumulare e che si imparano per tutta la vita, ma quel che è peggio è che spesso siamo molto ciechi nel comprendere in quali campi difettiamo di più. La scrittura collettiva è lo strumento perfetto per scoperchiare il vaso di Pandora delle proprie “inadeguatezze” di scrittore e per questo è il perfetto punto di partenza per cominciare a “prendersene cura”. Insomma è lo strumento ideale per compiere un tratto di strada importante nel cammino verso la “maggiore età” scrittorica.
Ammesso che esista davvero.