Finito di leggere il romanzo “Blacklands” di Belinda Bauer, consigliato e promosso dalla Marsilio Editore con l’niziativa “Blogger, a voi la parola“, la prima cosa che viene in mente è che davvero i generi letterari siano delle inutili categorie commerciali entro le quali le case editrici provano ad incastrare sia gli autori che i lettori, al solo scopo di vendere qualche copia in più. Solo a Blacklands sono stati affibbiati almeno quattro o cinque termini diversi: è un thriller; no è giallo, anzi, è una crime fiction… Come se definire il genere di un romanzo possa rassicurare il lettore: “non è troppo pesante, questo libro non ti darà troppo da pensare, non più di una puntata di C.S.I. in TV”!
Eppure, benché l’autrice britannica tocchi delle tematiche fosche – la pedofilia, la violenza sui minori – che non possono non lasciare il segno e per di più le racconta senza troppi giri di parole ( leggere delle masturbazioni di un serial killer non è una cosa che scivoli via così facilmente) Blacklands appare più una descrizione fedele delle condizioni in cui oggi un ragazzo possa affacciarsi alla maturità, quali traumi sia costretto a subire e quali sfide affrontare.
E’ la stessa Bauer a spigare: “Black Lands non doveva essere un romanzo giallo, ma dopo avere visto alla televisione la mamma di un bambino assassinato è scoccata la scintilla […] ho capitolo la portata devastante di un simile evento: la triste frammentazione di una famiglia […] ho iniziato a pensare come un ragazzino di 12 anni e la mia unica domanda è stata: come posso cambiare tutto questo?
Certo, non tutti si trovano a fare i conti con assassinii e serial killer, ma calcolando il numero di famiglie devastate che si trovano in giro, per motivi più o meno futili, e il numero di ragazzi che di queste famiglie sono frutto, Steven Lamb, il dodicenne protagonista della storia, diventa anche il simbolo della speranza.
Anzi: “non gli piaceva sperare, non gli piaceva neppure la parola speranza, che implicava una specie di impotente prostrazione ai capricci del fato. Perferiva il termine opzioni”.
E tra l’opzione di rimanere incastrato in una condizione di vittima perenne e cabiare le cose, decide di correre il rischio: scrive in carcere ad Arnold Avery, l’uomo che probabilmente vent’anni prima ha ucciso suo zio Billy, ancora bambino. Steven prende sulle sue spalle tutto il peso di una tragedia che di norma un dodicenne non riesce nemmeno a concepire: “Non gli pareva neppure possibile quello che Avery aveva fatto, ma l’aveva letto sui giornali e quindi doveva essere successo davvero”. Da ragazzo ordinario, già quasi ammuffito, si trasforma in uno straordinario adulto.
“Da qualche parte, in qualche modo il ragazzino di un tempo era scomparso…”
2 risposte
Ho trovato questo romanzo davvero interessante, per le atmosfere, il gioco tra passato e presente, la costruzione dei personaggi e quella della partita doppia di verità. Una esordiente da tenere sotto occhio per il futuro!