Vero o Falso? Oltre i luoghi comuni sulla scrittura [ep.1] con Yasmina Pani

Ho conosciuto la prof. Yasmina Pani grazie al video su Youtube di un dibattito dedicato al linguaggio inclusivo. C’era lei sul palco che da sola fronteggiava le domande dei ragazzi della Scuola Holden. Tema: l’utilità di introdurre nello scritto e nel parlato un nuovo neutro, come lo schwa, per superare i pregiudizi di genere e quindi se modificare il linguaggio e la comunicazione possa condurre poi a dei cambiamenti effettivi anche nella società. Personalmente credevo di avere le idee abbastanza chiare sulla questione, non so nemmeno perché mi sia soffermata su quel video, forse attratta dal titolo MASSACRI: credevo di assistere allo sgretolamento di una grammar-nazi e invece piano piano a sgretolarsi sono state le mie convinzioni.

Le argomentazioni della Pani contro le ipocrisie dell’inclusività di superficie sono solide e basate, si capisce, su una profonda cultura scientifica e accademica; quel tipo di argomentazioni, insomma, che ti fanno incazzare di più perché ti costringono (almeno a me) ad approfondire e riconsiderare ciò che pensavi di sapere. Quindi, chi meglio di una linguista acuta come Yasmina Pani poteva aiutarci a riflettere sui cliché che circolano spesso in merito alla scrittura, come distinguerli dalle buone pratiche a cui ogni aspirante dovrebbe attenersi e quando invece la buona pratica è disfarsene.

Questa è la prima di 4 interviste con professionisti del mondo editoriale che mi hanno insegnato molto, non soltanto per le loro competenze ma anche per la loro umanità.

Bene, Yasmina, per i pochi che non ti conoscessero, ti va di spiegare innanzitutto chi sei, che ruolo hanno i libri nella tua vita e nel tuo lavoro?

yasmina pani - Guide Self Publishing e scrittura online | Storia Continua Nella mia vita hanno avuto da subito una grande importanza, perché leggere è sempre stata la mia attività preferita. Di conseguenza ho studiato lettere, e per un po’ ho insegnato nelle scuole; ho deciso poi di mettermi in proprio e fare lezione solo online, oltre a occuparmi di divulgazione proprio sulla letteratura, soprattutto italiana, e la linguistica, che è la mia seconda specializzazione.

Come ho anticipato, questa intervista ha lo scopo di sfatare o, al contrario, confermare alcune delle credenze più diffuse sul mestiere di scrivere. Ad esempio: “scrivi di quello che conosci”. Cosa significa davvero?

Credo che questa frase possa essere interpretata in molti modi, alcuni più sensati di altri. Io però diffido in generale delle prescrizioni generiche che pretendono di valere per qualsiasi scritto e qualsiasi autore. In realtà, secondo me, ciascuno scrive in conformità della sua natura, e quindi ci sarà chi si sente a proprio agio nel noto e chi preferisce immaginare l’ignoto.

Tra le espressioni più ricorrenti c’è sicuramente “Kill your darlings”. Non so bene come tradurlo e se ci sia un corrispondente in italiano, vuoi spiegarcelo tu?

Potremmo tradurlo letteralmente con “Uccidi i tuoi cari”: non avere timore di liberare la tua storia da elementi che per quanto tu ami si sono rivelati non necessari o addirittura dannosi. A volte si osserva in certi libri una riluttanza dell’autore a fare proprio questo, e la qualità ne risente.

Segue la nota “per scrivere bene, bisogna leggere tanto”. Luogo comune o regola che sarebbe bene marchiarsi a fuoco?

Anche in questo caso si tratta di una prescrizione generale che non può adattarsi a ogni situazione. Trovo però che sia il più delle volte vero: i grandi autori sono quasi sempre conoscitori della letteratura precedente e contemporanea. Questo, secondo me, non tanto perché si imparano tecniche, idee, suggestioni, attraverso la lettura (cosa vera, comunque), quanto perché ci si pone in dialogo col mondo, e il libro ne esce arricchito.

Chiariti i fondamentali, passiamo a quelli che tra gli esordienti sono gli argomenti più dibattuti: “è più importante avere una buona idea o scrivere bene?”, e ancora “si scrive per se stessi o per il pubblico?”.

Anche in questo caso ho qualche difficoltà! Non capisco come si possa concepire il contenuto del libro slegato dalla sua forma, o viceversa. Il libro, come la poesia, come qualsiasi testo letterario, è composto inscindibilmente da contenuto e forma: l’uno dipende dall’altro e viceversa. Se uno ha una bella idea, ma non è capace di metterla su carta, semplicemente non è uno scrittore. Di belle idee ne abbiamo tutti, almeno una volta nella vita. E, ugualmente, scrivere bene (anche questo è complicato da definire) ma non avere nulla da dire significa che non si è scrittori. Nulla di male, si potrà usare la scrittura per altre cose.
Quanto alla seconda domanda, se parliamo di grande letteratura si scrive sempre per se stessi, ma avendo presente un pubblico. Se parliamo di vendere libri, sicuramente si scriverà solo per il lettore, dandogli quello che pensiamo che voglia.

Infine, detto tra di noi, gli editor commettono errori?

Senza dubbio. È un lavoro difficile e spesso non pagato granché; inoltre ultimamente ho l’impressione, leggendo libri recentissimi, che il lavoro stia diventando sempre meno accurato, forse perché non si dà poi grande valore alla correttezza grammaticale o sintattica – di cui del resto parte del pubblico non è in grado di accorgersi.

Cosa ne pensi delle Intelligenze Artificiali, credi che saranno utili proprio per evitare gli errori del mestiere o le vedi più come una minaccia?

La tecnologia, come sappiamo, ci semplifica la vita. Credo che questo sia un bene, ma non debba essere necessariamente applicato a tutto. La fatica e il lavoro del professionista non possono essere eliminati, o agevolati all’eccesso, perché nel tempo quella professionalità andrà perdendosi. Inoltre dov’è il piacere della creazione, del prodotto del proprio sforzo? Diventa allora un lavoro meccanico, che quindi per forza di cose darà risultati mediocri. Non solo: temo anche che con l’agevolazione dell’IA il correttore o l’editor si troverebbero con un carico di lavoro maggiore, perché ci si aspetterà da loro maggiore rapidità. In tutto questo io vedo una pigrizia di fondo che trovo inaccettabile e che soprattutto è in contraddizione con la natura del mestiere stesso. Se non ne hai voglia, o se temi troppo di sbagliare, devi cambiare lavoro.

Sapresti riconoscere un testo scritto dall’Intelligenza Artificiale? Te la senti di affrontare il nostro test e dirci come è andata?

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Le ho azzeccate quasi tutte, ma semplicemente perché conoscevo i testi o lo stile degli autori. Ho già visto test di questo tipo; possono essere divertenti come attività senza impegno, ma non hanno, secondo me, una reale utilità, né un senso. È chiaro che l’intelligenza artificiale, possedendo nella memoria praticamente tutti i libri che siano mai stati scritti, è capace di imitare la scrittura di un autore o di parafrasare una frase cambiando pochi elementi. È anche capace, probabilmente, di produrre testi che a un primo sguardo ci parrebbero originali, profondi ecc. Ma questo è irrilevante: sono testi avulsi da un contesto, non hanno nessun significato. La letteratura ha senso perché è ancorata alla vita, è espressione di qualcuno che ha respirato, ha pianto, ha riso; la bellezza di un libro non può essere valutata mettendolo in un iperuranio asettico. Se facessimo questa operazione, o se prendessimo solo dei piccoli stralci, molte grandi opere potrebbero addirittura risultarci brutte.

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