In memoria di Michela Murgia, in memoria del Web

E’ con un certo magone che mi accingo a pubblicare questo post; lo stesso magone che mi ha accompagnato durante tutta la lettura di Ricordatemi come vi pare, autobiografia di Michela Murgia. So che il suo nome scatena, ancora adesso, a più di un anno dalla sua morte, grandi polemiche, ma per me lei è stata più di una scrittrice: è stata la voce che tante volte ho sentito di non avere.

Quando anch’io ho iniziato a scrivere online, me li ricordo bene i sorrisi sprezzanti, le occhiatine dall’alto in basso perché quello non era mica un vero lavoro, non volevi mica diventare una vera giornalista da dietro uno schermo? Quelli erano i tempi in cui si dibatteva se il web avrebbe soppiantato la carta, be’ sappiamo tutti come è andata e lo sapevano già anche i personaggi che ti attendevano dietro le loro grandi scrivanie per offrirti uno stage in redazione, per poi piazzarti esattamente lì, dietro lo schermo, a “scrivere SEO”, perché insomma le notizie erano per giornalisti seri, iscritti all’albo. E mentre in molti, isolati dal precariato, ci chiedevamo: possibile succeda solo a me? Michela Murgia prende proprio il tanto vituperato blog e lo usa per scardinare tutto.

Il mondo deve sapere” nasce proprio per dire: voi non state guardando e non la vedete, ma questa schifezza sta succedendo. (…) E’ vero che ho iniziato a scrivere in anonimato quando ho creato il blog. Nessuno sapeva chi fossi, avevo una libertà assoluta. Vincevano le parole e l’esperienza che quelle parole veicolavano.
Pubblicai Il mondo deve sapere e il posto di merda dove lavoravo chiuse, come d’incanto, perché io avevo scritto (…) perché avevo raccontato come maltrattavano le persone. Fu la prima volta che verificai di poter usare la forza della letteratura. Un incantesimo enorme: quello di smascherare le menzogne di un potere che cercava di opprimere me, certo, ma soprattutto quelle e quelli meno attrezzati di me. Pensai: accidenti, allora è vero che raccontare le cose le può cambiare! La scrittura mi è servita per agire sul mondo, il linguaggio è diventato una forma di azione.

Questo è stato l’esordio letterario di Michela Murgia, così come raccontato nell’autobiografia. E’ avvenuto sul web ed è avvenuto con la consapevolezza che c’era la necessità di una nuova narrazione che fungesse da ponte tra chi legge e chi scrive; cosa che poi il mercato ha chiamato puntare al “target” di lettori.

Scrivevo il blog per un’amica che stava a Pontedera, Silvia. Era la mia lettrice modello, leopardiana, che stava di là dal mare (…) è costruito mutuando il linguaggio religioso che veniva dai miei studi di teologia. C’è la setta, c’è il sommo sacerdote, c’è l’oggetto sacro, c’è la ricerca di purificazione.
I miei testi provocavano i commenti dei lettori e molto spesso il post successivo che pubblicavo riprendeva stimoli che erano venuti dai commenti al post precedente, e così via (…) era un lavoro collettivo, realizzato con perfetti sconosciuti ma che in quei mesi, con i loro contributi, avevano reso la mia scrittura altra cosa rispetto a quella che sarebbe stata se avessi scritto tutto quel testo solo per me. (…) Ho potuto guardare con occhi altrui ciò che scrivevo mentre lo stavo scrivendo.

Ho sempre ammirato e amato la capacità di Michela Murgia di essere immersa nel proprio tempo, cosa che ogni scrittore dovrebbe fare (leggetevi anche solo la Sinossi del curriculum, a p. 84, per capire cosa intendo); avrebbe potuto limitarsi a raccontare la sua esperienza in un libro, ma poi il processo di scrittura con un solo paio di occhi, come scrive, sarebbe stato più povero perché quella condizione di precariato, che ti invade l’esistenza, non riguardava appunto solo lei. Credo avesse intuito che il blog fosse, all’epoca, il mezzo per permettere ai lettori di completare l’altra metà dell’opera.

(…) lo scrittore può arrivare fino a un certo punto. I tuoi mondi sono sempre rivolti a qualcun altro, a qualcuno che tu vuoi smuovere come sei stata smossa tu dai libri che “ti hanno letta” […] l’idea è che i lettori siano letti dai libri che hanno letto.

E perché tutto questo funzioni, scrive Michela Murgia, la vita e il linguaggio devono essere perfettamente sovrapponibili. Non a caso il suo imprinting è avvenuto su una community di gioco, Lot, basata sul solo testo, quando ancora né YouTube né Facebook erano all’orizzonte, e dove tutto andava descritto: scenari, azioni, personaggi e trame.

Tutto quello che ho fatto, da un punto di vista letterario, è il frutto di un rimando a feedback continui tra i membri di una comunità.
(…) Su Internet devi accettare l’interazione di sconosciuti (…) nulla ha valore autoriale, ma comunque l’interazione influenza la tua risposta, perfetti sconosciuti che possono dirti la cosa che ti illumina e ti scioglie il nodo che tu da solo non riusciresti a sciogliere.

Ecco cos’era il web prima dell’arrivo dei social dell’Io Io Io!; la scrittura sul web, che si apriva all’intervento, al mutamento e quindi all’arricchimento.

Non mi manca il mito romantico dell’autore, né l’ὕβρις di chi scrive per imporre il proprio punto di vista sul mondo (…) non sopporto, non scuso, non ammetto più alla mia età la lettura di romanzi edificanti e di personaggi confortevoli e dai buoni sentimenti studiati a tavolino per essere venduti nei licei e nei libri delle scrittrici romance per Wattpad (…) il romanzo è un luogo pulsante di dubbi…

Citazione dal libro Ricordatemi come vi pare, di Michela Murgia, su cos'è il romanzo

Ha lasciato un grande vuoto Michela Murgia, che si fosse d’accordo con lei o meno, le sue parole suonavano sempre limpide e precise in un mondo dove ormai vale tutto, anche la post-verità. Ho voluto lasciarne qui una traccia, per ricordarcene quando da domani torneremo a discutere di strategie di marketing per vendere libri, attirare i lettori, quando invece quello che dovremmo fare con i libri è costruire un argine a queste logiche per preservare almeno uno spazio di autenticità; che è poi quello che doveva essere il world wide web prima che i social si mangiassero tutto (e non sono la sola a pensarlo).

Voglio ricordarmi soprattutto che Storia Continua è nato come luogo di resistenza, contro un lavoro che voleva la scrittura “a servizio di…”; è un luogo di collaborazione, aperto agli scrittori che attraverso il digitale hanno trovato nuovi modi di esprimere o osservare la propria realtà; è dunque un luogo dove sperimentare e sfidare le regole formali della narrazione per raccontare una realtà ormai sfuggente o, per chiudere ancora con le parole di Michela Murgia, farla diventare quella che desiderano abitare.

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