Twitter e il futuro della lettura: intervista a Paolo Costa

In questo lavoro ti può capitare di conoscere una redattrice della Egea e scoprire che la casa editrice ha pubblicato un libro in cui sei citata pure tu, perché l’autore è un professore che ha inserito il tuo ebook nel suo materiale didattico.
Ora, se non avessi seguito un corso in ebook design organizzato da una certa altra casa editrice super innovativa, tu quella redattrice non l’avresti mai conosciuta. Allora che fai? Prendi e li ospiti tutti sul tuo sito, no?
Così, dopo aver ragionato di polistorie e ipertesti con Quintdicopertina, eccoci a fare due chiacchiere con il prof. Paolo Costa in occasione dell’uscita del libro “Il futuro della lettura. L’esperienza del testo nell’era postmediale”, edito da Egea.

Nel suo libro lei distingue la lettura tout court dalla lettura letteraria, in cosa consiste questa distinzione?

futuro della lettura Credo che prima sia necessario rispondere a un’altra domanda: che cos’è un testo letterario e in che cosa si distingue da altre forme di testualità? Le risposte possibili sono molte. Ma in buona sostanza la differenza è funzionale. Intendo dire che i testi letterari rispondono a una funzione diversa da quella assolta da altri testi. Il loro scopo non è suscitare una risposta di tipo pragmatico da parte del lettore, ma proiettarlo in una dimensione esistenziale alternativa. Si tratta di una proiezione contingente, che dura il tempo stesso della lettura. Per farsi leggere un testo letterario pretende che il lettore si trasferisca all’interno di un mondo “altro” e creda nella realtà di tale mondo, per quanto fantastico. È la famosa sospensione dell’incredulità di cui parla Samuel Coleridge.
Oltre a ciò un testo letterario tende a sollecitare la nostra attenzione di lettori nei confronti del codice linguistico. Lo fa ponendosi in qualche modo in una posizione di originalità rispetto ai canoni e alle convenzioni. Un testo letterario instaura una relazione dialettica con la tradizione della quale si nutre, alternando adesioni e rifiuti, conformismo e libertà. È quella cosa che chiamiamo stile. Ecco: questi due aspetti – invito alla rielaborazione fantastica e urgenza linguistica – determinano il fatto che la lettura letteraria si configuri come un’esperienza peculiare. Un’esperienza faticosa, che però ci premia con il godimento estetico.

Tra le varie forme di remix e manipolazione del testo che avvengono sui media digitali, lei ha scelto di soffermarsi principalmente sulla Twitteratura, come mai? E cos’è esattamente per lei la Twitteratura?

Se ci atteniamo alla definizione del Vocabolario Treccani, la twitteratura – che scriverei con t minuscola – è l’opera letteraria narrativa, originale o meno, compresa nella misura di 140 caratteri. Con gli altri fondatori di TwLetteratura, Edoardo Montenegro e Pierluigi Vaccaneo, ho immaginato di dare all’espressione un significato diverso. Per noi la twitteratura è una forma di lettura aumentata, che si basa su tre assunti. In primo luogo vi è l’idea che riscrivere un testo sia un modo potente di leggerlo, cercando di smontarlo e di penetrare nel suo segreto. Secondariamente pensiamo che il vincolo della brevità – i famosi 140 caratteri – costringa il lettore/riscrittore a spingersi ancora più in profondità nel suo lavoro di scavo. Da ultimo c’è la dimensione sociale dell’esperienza: fare twitteratura significa condividere con altri su Twitter le proprie chiavi di lettura. Su questi fattori abbiamo costruito un metodo e una comunità di persone. Ma forse la definizione migliore è più semplice è un’altra: la twitteratura è un gioco.

In un passaggio sostiene che l’accostamento fra Twitter e le Lezioni americane di Calvino è una solida suggestione, ma che nel contesto della twitteratura (con la minuscola) il Calvino da citare sarebbe quello di “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, vuole spiegarci il perché?

In realtà fra le Lezioni americane e Se una notte d’inverno un viaggiatore i punti di contatto sono evidenti. Se una notte d’inverno un viaggiatore è un esercizio sulla molteplicità della forma romanzo, quella molteplicità indicata nelle Lezioni come uno dei valori peculiari della letteratura per il nuovo millennio. Ma Se una notte d’inverno un viaggiatore è anche altro. È una riflessione sull’esperienza della lettura e sul rapporto fra testo e lettore. Tale riflessione si conclude in modo quasi didascalico nell’undicesimo capitolo, con l’incontro fra il protagonista e i sette lettori-tipo. Come a dire che non esiste un metodo di lettura univoco. Esistono vari modi di porsi davanti al libro, ciascuno dei quali prova a risolvere per via diversa quell’immenso rompicapo che è il testo.

Tra le sette tipologie di lettore che ha individuato, il lettore ipertestuale sembra essere quello più distratto, incapace di concentrarsi e approfondire, quindi di comprendere davvero un testo. E’ a questo aspetto che si riferisce quando parla di perdita nel passaggio al nuovo ecosistema della lettura?

Non necessariamente. Anche perché l’ipertestualità non è un’invenzione recente. Semmai è vero il contrario: molto praticata nel libro antico, l’ipertestualità è stata sacrificata alle esigenze di efficienza e funzionalità del libro tipografico, alla fine del XV secolo. Dunque l’ipertesto elettronico potrebbe anche essere considerato un ritorno alle origini. La scarsa disponibilità a concentrarsi tipica del lettore contemporaneo dipende a mio avviso da altri fattori. Il primo di essi è costituito dal passaggio dal libro di carta al libro elettronico. Le principali ricerche condotte in tale ambito evidenziano la maggiore difficoltà di memorizzazione di fronte a un testo fruito sullo schermo. Il secondo fattore è il cosiddetto multitasking, ossia il continuo passaggio da un compito all’altro favorito da dispositivi come i tablet e gli smartphone. Il terzo fattore è il rapporto sempre più sbilanciato fra quantità di testi in circolazione e tempo disponibile.

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E cosa invece stiamo guadagnando, se stiamo guadagnando qualcosa nel passaggio alla lettura digitale?

Stiamo ancora sperimentando, io credo. Progetti come TwLetteratura rispondono proprio alla volontà di trovare, nel nuovo ecosistema della lettura, modelli che rendano il rapporto con i testi sempre più intenso e profondo. A me interessa in particolare che contributo possono dare i nostri esperimenti nell’ambito dell’attività didattica.

Cosa pensa del possibile abbandono da parte di Twitter del limite dei 140 caratteri? Esisterà ancora la twitteratura?

Non so fare previsioni sul destino di Twitter. Certo, se la piattaforma dovesse rinunciare a questo suo tratto caratteristico, perderebbe ai miei occhi ogni motivo di interesse. TwLetteratura si sta portando avanti: grazie al sostegno finanziario di Fondazione Cariplo sta sviluppando una piattaforma pensata per rendere l’esperienza della twitteratura ancora più ricca e coinvolgente. Betwyll – questo il nome del software – non rinuncerà certo al limite dei 140 caratteri. Tuttavia Twitter continua ad avere una valenza: è un luogo di incontro aperto, nel quale ci si può imbattere in chiunque, molto più di quanto accada su Facebook. Questo per me è un valore.

Quale sarà secondo lei il lascito culturale di una produzione letteraria che segue i cambiamenti repentini e a volte le mode dettate dalla tecnologia?

Ci dimenticheremo presto di questa produzione. La letteratura contemporanea che mi interessa è un’altra: quella saldamente ancorata alla grande tradizione del romanzo. Penso a Jonathan Franzen, Orhan Pamuk, David Grossman e pochi altri. In Italia non penso a nessuno.

Per chi volesse approfondire, il libro del prof. Costa verrà presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino, negli spazi di Book to the Future, venerdì 13 maggio alle ore 15. Io ci sarò!

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